Abstract
Il contributo si propone di evidenziare le conseguenze determinate dall’incontro tra un bias cognitivo dagli effetti potenzialmente irrimediabili e una pratica valutativa influenzata da distorsioni cognitive capaci di neutralizzare il carattere di necessaria oggettività richiesto al docente nell’atto di “dare un valore” ad una determinata prova di verifica svolta da uno studente: latenti e spesso inconsci meccanismi pregiudizievoli possono compromettere irreversibilmente il successo formativo.
This paper aims to highlight the consequences brought about by the encounter between a cognitive bias with potentially irreparable effects and an evaluative practice influenced by cognitive distortions capable of neutralizing the character of necessary objectivity required of the teacher in the act of “giving a value” to a given test taken by a student: latent and often unconscious prejudicial mechanisms can irreversibly compromise educational success.
“Bene, ragazzi. Per permettermi di conoscervi meglio, potreste riferirmi il voto conseguito nella mia materia nel documento di valutazione finale dello scorso anno scolastico?”. Supponiamo che un insegnante in procinto di avviare la conoscenza con una nuova classe si presenti formulando questa domanda agli alunni e annotasse le risposte fornite da ciascuno di essi. No, purtroppo, non è un’ipotesi tanto peregrina e scardinata dal contesto scolastico nel quale ci troviamo ad operare. Sarà certamente capitato a tutti noi di assistere a siffatte richieste sia in veste di docenti che, richiamando ricordi fanciulleschi alla nostra memoria, in veste di alunni. A questo punto, ogni alunno risponderebbe in maniera diligente e precisa permettendo così al docente di avere il tanto bramato quadro della situazione, come si suole definirlo, relativo all’intero gruppo classe.
Appuntati i rispettivi voti accanto al nome di ciascun discente1, il meticoloso insegnante uscirebbe dall’aula soddisfatto per avere appurato informazioni imprescindibili, secondo il proprio punto di vista, per avviare le attività didattiche nella maniera più efficiente e consona possibile. Ovviamente, il nostro collega in questione non si limiterebbe a questo, ma si affretterebbe subito a fissare una verifica diagnostica o, secondo il gergo tanto temuto da ogni studente, un “test di ingresso” per valutare i livelli di partenza degli alunni2. Fin qui, nulla di strano, giusto? Tutti noi, nel corso dei tanti e lunghi anni di “studio matto e disperatissimo3” siamo stati sottoposti ad un’indefinita e infinita quantità di prove di verifica, soprattutto ogni qualvolta avessimo fatto la conoscenza di un nuovo docente o avessimo cambiato classe, indirizzo di studi o grado scolastico.
Quando, allora, si concretizzerebbe l’errore di prospettiva nel quale il docente si troverebbe ad essere invischiato senza nemmeno essere cosciente del fatto di essersi fabbricato da solo, e anche con un certo orgoglio, la pania che lo terrà intrappolato? Nell’istante stesso in cui la penna rossa o, se preferite, il colore blu il cui tratto sembra tanto essere di moda negli ultimi tempi tra le pagine dei compiti corretti, imprimerà la propria traccia sul foglio del test, ecco delinearsi il fenomeno noto con la denominazione di “Effetto alone” o “Effetto aureola”4, indicante la tendenza a crearsi un’immagine mentale o un’opinione sulla base dell’esasperazione di alcune caratteristiche positive o negative di un soggetto o di una situazione.
Questa distorsione cognitiva, pertanto, genera un vero e proprio pregiudizio capace di alterare la nostra percezione costringendoci, di fatto, a interpretare un certo dato in maniera deformata e per nulla attinente al reale con effetti perduranti anche qualora la prima impressione non si rivelasse corretta in un frangente successivo. L’insegnante, ormai pienamente coinvolto in questo processo mentale, come vi aspettereste che si comportasse una volta intrapresa la correzione della verifica dell’alunno il cui voto alla fine dell’anno scolastico appena trascorso è stato pari a 9? E quando sarà la volta dell’alunno il cui giudizio è risultato sospeso?
Credete che il voto ottenuto e riferito dagli studenti non possa inficiare la valutazione del docente appena conosciuto? Oppure ritenete di poter presupporre che, sia pur inconsciamente, la risposta ingenuamente fornita dagli alunni stia impercettibilmente, ma inevitabilmente contribuendo a far deviare il giudizio dell’insegnante verso l’indizio suggeritogli dal collega dell’anno scolastico precedente? Di conseguenza, i voti dichiarati dagli alunni nel corso del colloquio preliminare verrebbero ad essere confermati nuovamente o subirebbero lievi modifiche. Non reputate tanto dirimente il potere delle convinzioni inconsce o delle cognizioni che operano in maniera latente nel nostro inconscio cognitivo5? Ipotizziamo che il parere dei colleghi che vi hanno preceduto non vi condizioni: e se fosse il vostro stesso pre – giudizio, inteso quale parere che avete formulato in un intervallo temporale antecedente, ad influenzarvi? Cercate di porvi nelle vesti dell’insegnante che si accinge a correggere una desolante pila (l’ennesima!) di verifiche svolte ormai da svariati giorni, depositata sulla scrivania in paziente attesa.
Scoraggiati ma risoluti vi accomodereste sulla sedia e prendereste tra le mani il primo foglio protocollo, quello che casualmente si trova in cima al cumulo. Fortuitamente, si tratta del compito di uno degli alunni più brillanti: avete, difatti, letto il suo nome, indicato sulla prima facciata. Dunque, scorrete le pagine della verifica in maniera spedita, fiduciosi del fatto che non avranno quasi bisogno di correzioni. Accidentalmente, nonostante alcuni errori poco compromettenti, forse dovuti a qualche incidentale distrazione, la media più che soddisfacente dell’alunno risulterà essere sostanzialmente confermata. A questo punto, afferrate il foglio protocollo successivo: è il compito di uno degli alunni che in genere riscontrano le maggiori difficoltà nella vostra materia. Fatalmente, penserete sconfortati che sarà inevitabile analizzare attentamente la verifica per scorgere tutte le inesattezze che sicuramente saranno presenti. Non vi occorrerebbe troppo tempo per scovarle tutte e la vostra iniziale ipotesi sul rendimento dell’alunno sarà presto confermata6.
Per provare l’irreprensibilità del vostro inconscio e l’assoluta oggettività del vostro metodo di valutazione, potreste provare a svolgere un esperimento: cercate di effettuare la correzione delle verifiche senza leggere il nome del discente – autore, con l’auspicio che la grafia non ve lo renda immediatamente riconoscibile. Una volta compilata la griglia di valutazione, voltate il foglio e scoprite a quale alunno appartiene il compito appena corretto. Il più delle volte, risulterete piacevolmente o spiacevolmente sorpresi: alunni che generalmente vengono inclusi nella categoria dei “bravi” potrebbero aver studiato poco o non aver compreso appieno l’argomento cardine del test di verifica, mentre alunni che solitamente vengono definiti “meno bravi” potrebbero aver ottenuto un risultato più che buono grazie all’assiduo impegno o all’oggetto della prova ritenuto accattivante.
Questa dimostrazione, alla quale dovremmo spesso sottoporci per cercare di rimettere sempre in discussione le nostre modalità di valutazione e le strategie con le quali le attuiamo, attesta quanto sia inefficace e spesso dannoso etichettare gli alunni sulla base della media aritmetica dei voti ottenuta in precedenza7. I nostri studenti, difatti, non devono apparirci come dei contenitori di conserve il cui contenuto viene espressamente e inderogabilmente indicato sull’apposito cartellino applicato sulla confezione. Il prodotto incluso all’interno di tali barattoli, difatti, non può subire trasformazioni col tempo, ma soltanto alterazioni o deterioramenti: una marmellata di fragole resterà tale, non potrà divenire biondo miele. Al contrario, “la testa” dei discenti deve essere considerata “ben fatta” e non “ben piena”8. Una volta disposte le confetture in ordine nella dispensa, non andremo più a modificarne l’indicazione del contenuto, certi che non potrà in alcun modo variare.
Ma nel caso dei nostri alunni, tutto questo cosa comporterebbe? Classificare il contenuto delle teste dei nostri alunni, dopo averle ricolmate di sterile nozionismo, senza dunque poter lasciare presagire la possibilità di fare in modo che siffatto contenuto possa mutare nel tempo, evolvendosi e trasformandosi, conduce ad un esito difficilmente alterabile9.
Questa sorta di “etichettamento valutativo/formativo” rischia di provocare conseguenze potenzialmente irreparabili. Per tornare alla similitudine proposta in precedenza, il prodotto contenuto nei recipienti non è destinato a subire sostanziali alterazioni: una particolare tipologia di marmellata, difatti, resterà sempre tale, ma lo stesso non può assolutamente essere asserito in merito alla mente dei nostri discenti, fluida, dinamica e in divenire10.
Proviamo, invero, a riflettere sugli effetti immediati che una valutazione attribuita sulla scia dell’inavvertibile spinta determinata dall’Effetto alone (dal quale, seppur inconsapevolmente, ci siamo fatti irretire) potrebbe innescare. La deduzione è logica: trasfigureremmo i nostri alunni in vasellame per conserve! Il risultato di tale accostamento, difatti, produrrebbe una serie ben definita e gerarchicamente ordinata di voti prevedibili e meccanici. Obnubilati dalla foschia sprigionata dall’Effetto alone, saremmo difatti indotti ad associare ogni alunno con il valore numerico che generalmente e, ormai, quasi automaticamente, tendiamo ad accostargli. Ecco che la nostra classe si trasformerà in una ordinata e ben fornita cantina al cui interno sono stipati scaffali nei quali sono riposti generi alimentari di ogni tipo: tutti rigorosamente etichettati, si intende. Ogni studente, pertanto, rivestirà la parte di mero scatolame, passivo ricettore di contenuti immodificabili e inderogabilmente specificati sull’apposito cartellino applicato in bella evidenza.
Si dipana, pertanto, lo scenario dal quale ogni insegnante, volenteroso di esercitare il proprio pensiero metacognitivo e promotore di pratiche autovalutative costanti,11 dovrebbe rifuggire: la distribuzione dei voti per rigide fasce corrispondenti ai differenti risultati di apprendimento conseguiti dagli studenti. Tali categorizzazioni comportano la conseguente sclerotizzazione del livello di apprendimento attribuito ad ogni discente: il docente, difatti, sarebbe indotto a discostarsi di poco rispetto al voto compreso nella fascia di appartenenza di un determinato alunno producendo, in questo modo, una sorta di “eterno ritorno dell’uguale” 12 per quanto attiene alla valutazione.
Contro tale classificazione formativa si sono levate voci che sono addirittura arrivate a formulare e, in certi casi, a concretizzare la proposta di fare a meno dei voti nel corso dell’anno scolastico sostituendo le tanto temute e aride valutazioni numeriche con forme di valutazione descrittiva piuttosto che quantitativa o con autovalutazioni periodiche effettuate dagli stessi alunni13. È questo lo scenario della scuola del futuro? Oltre ad una scuola senza zaino14, si andrà delineando una scuola senza voti?
Tra gli sterminati panorami che si profilano all’orizzonte, un fattore tra tutti dovrebbe risultare centrale nell’orientare il rapporto tra insegnanti e discenti al fine di scongiurare il determinarsi dell’Effetto alone tra le mura scolastiche: la salda consapevolezza, insita nella coscienza di entrambe le figure coinvolte nel processo di insegnamento – apprendimento, che il “valore” di una prova di verifica o di un alunno si determina a dispetto e non soltanto in base ai risultati dello sterile e, come abbiamo avuto modo di rilevare, spesso pregiudizievole criterio di “valutazione” formativa adottato15.
Di conseguenza, nell’accingersi alla pratica valutativa, ogni docente – formatore che miri ad essere un professionista riflessivo16 dovrebbe preliminarmente esaminare il proprio agire operativo facendosi condurre dalla celebre massima del filosofo Immanuel Kant: “Prima di valutare se una risposta è esatta, si deve valutare se la domanda è corretta”.
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1 Benvenuto, 2015.
2 Vd. Ambrose & al., 2017 circa l’importanza attribuita all’esame delle preconoscenze possedute dagli studenti.
3 G. Leopardi, Lettera a Pietro Giordani a Milano. Recanati, 2 marzo 1818 in Epistolario di Giacomo Leopardi con le iscrizioni greche triopee da lui tradotte e lettere di Pietro Giordani e Pietro Colletta all’Autore, raccolto e ordinato da Prospero Viani, vol. I, Napoli, 1860², pag. 76.
4 L’ “Effetto alone” è stato osservato per la prima volta nel 1907 da F. L. Wells. La denominazione di tale effetto, tuttavia, si deve allo psicologo statunitense E. L. Thorndike che nel 1920 effettuò delle ricerche in ambito militare e rilevò la tendenza innata dei soldati a considerare positivamente i propri superiori, nel caso in cui avessero riscontrato in questi ultimi caratteristiche positive o, al contrario, a giudicarli negativamente sulla base di tratti riprovevoli rilevati.
5 Woolfolk, 2016.
6 Eppure, sarebbe basilare per ogni docente comprendere il potere degli errori e l’impatto di crescita che hanno sul cervello al fine di evitare di commettere quelli che Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dell’educazione e dello sviluppo presso l’Università di Padova, definisce “errori sugli errori” riconoscendo nell’errore una colpa da tradurre in un mero meccanismo di giudizio o reputandolo un sintomo di difficoltà connaturate a soggetti con Bisogni Educativi Specifici. Tali interpretazioni vengono, difatti, ritenute dalla Lucangeli due trappole che impediscono di capire la funzione neurostrutturale dell’informazione che porta con sé un errore. Cfr. https://www.orizzontescuola.it/cose-un-errore-cose-un-errore- intelligente-ripensare-profondamente-lambito-educativo-intervista-alla-professoressa-lucangeli/
7 Per una disamina circa la necessità di un “cambio di paradigma” nella relazione tra insegnante e discente Cfr. Rossi, 2022.
8 Morin, 2000.
9 Zamponi, 2022. Cfr. https://www.prospettivedidattiche.it/la-progettazione-didattica/
10 La corteccia prefrontale, difatti, perviene a completo sviluppo verso i 20/25 anni di età di un individuo. Questa area del cervello, sede della Memoria di Lavoro, è responsabile di funzioni quali la regolazione del comportamento sociale, la gestione delle emozioni, lo svolgimento dei processi relativi alla personalità, l’organizzazione di informazioni complesse e la pianificazione di strategie. Cfr. Rossi, 2022.
11 Maknouz, 2021.
12 Cit. F. W. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341.
13 https://www.orizzontescuola.it/scuola-senza-voti-alunni-senza-ansia-di-essere-giudicati-imparano-di-piu/
14 Orsi, 2016.
15 Il verbo “valutare” deriva dal latino valĭtus, participio passato del verbo valēre, e significa “stimare, dare un prezzo”. Perciò, in senso etimologico, esprimere una “valutazione” implica il “dare un valore” ad un determinato oggetto stimandone o meno il pregio in termini quantitativi. Cfr. Dizionario etimologico online: https://www.etimo.it/?term=valutare
16 Schön, 1992.
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Tema molto interessante, ben argomentato ed analizzato da diverse prospettive, individuali e sociali. Molto utile come spunto di riflessione nei numerosi casi della vita in cui ci troviamo a fare delle valutazioni, come parte attiva o passiva; nella scuola, nel lavoro, nel quotidiano…
La dott.sa Zamponi attraverso questo contributo, in merito all’analisi dell’effetto alone e delle sue possibili ricadute nella valutazione scolastica, con lucidità e candore riflette sulla situazione contemporanea della nostra scuola italiana. Negli ultimi vent’anni la nostra società ha assistito a radicali cambiamenti: il progresso tecnico-digitale ha frammentato e fatto slittare le competenze di un individuo su dimensioni cognitive altre e inaspettate. Valutare efficacemente diventa problematico quando da insegnante valuti affidandoti al passato (ahimè remoto) del “come venivi valutato tu”. Valutare efficacemente diventa ancora più difficile quando si attivano quei determinati atteggiamenti inconsci che portano all’effetto alone. Prima ancora di essere bravi insegnanti dovremmo capire come “sospendere il giudizio”, in primis su noi stessi e successivamente su chi abbiamo di fronte. Il valutare dovrà diventare un atto multidimensionale che si affinerà sempre di più in base alle situazioni di apprendimento che l’insegnante proporrà ai suoi studenti. Grazie ancora per questo articolo e per aver generato ulteriori riflessioni in me.
Ritengo che il contributo della Dott.ssa Zamponi, ben argomentato e sorretto da esempi e citazioni, rispecchi tematiche e problematiche sempre valide e, soprattutto, molto attuali. Nel processo di valutazione il pregiudizio e l’errore possono entrare in campo, rivelando l'”umanità” dell’insegnante come suo limite. Ma proprio da qui può prendere avvio il cambiamento che porta, tramite processi metacognitivi, alla riflessione sulla domanda e all’eventuale riformulazione di questa.
E soprattutto concordo nel riconoscere i limiti di una didattica meramente trasmissiva, in quanto, come afferma Plutarco “gli alunni non sono vasi da riempire ma fiaccole d’accendere”. Oggi la didattica può diventare obiettiva se il vero soggetto diviene l’alunno, il quale ha già in sé quel sapere che noi, attraverso la maieutica socratica, siamo chiamati a “educere” (estrarre fuori).
Infine, grazie per aver stimolato la riflessione su fenomeni che meritano sempre più la nostra attenzione come l’ “Effetto alone” o l'”Effetto aureola”, sull’aspetto qualitativo dell’insegnamento, sulla mutevolezza del contenuto e delle menti dei discenti. La realtà in continuo divenire dovrebbe portarci a interrogarci costantemente su questi aspetti al fine di apprendere a mutare anche noi insieme ad essa.